Un pesciolino arriva nella drammaturgia di Pasolini intorno al 1957.
Prima della grande rivoluzione del Teatro del Manifesto (Gianeselli, 2022) nel quale l’autore struttura la sua idea di teatro come “terzo pedagogico” (Perla, 2016) tra intellettuale e società, Pasolini sperimenta il gioco puro, un tuffo verticale nella passione e nell’ideologia della ribellione tutta da conquistare in corpo di Donna. Tutt’altro che inconcludente, imperfetto o incompleto, questo testo raramente portato in scena è un unicum nella drammaturgia pasoliniana: non somiglia strutturalmente agli altri suoi testi. Questo monologo è scritto in contrappunto, con una forza estrema che emerge da delicatezza, chiarezza strutturale e formale che sostengono un momento di vita oscuro, arrabbiato, che prende coscienza di sé disvelandosi nell’attesa di un fatto cruciale: il pesciolino è una allegoria, ciò che deve abboccare è la realtà in sé. Più che a Brecht, qui ci si potrebbe riferire alla staticità di Ionesco e anche di un certo Cocteau: quella monologante è una persona che cerca di dare un significato all’esistenza in un continuo moto di fuga dalla risoluzione.
In Un pesciolino la Donna è mostrata in tutta la sua fragilità, balbettante, sospesa in sé stessa, persa nelle trame della Storia che non ha la forza di rifiutare ma che pure ha compreso avendone provato nella carne le sofferenze, le privazioni e la più feroce delle negazioni: il diritto all’amore.
- In collaborazione con Bottega PPP – Progetti Poetici Permanenti – Pier Paolo Pasolini della Compagnia dei Felici Molti