Riserva cognitiva. Settembre 1942. L’esercito della Wehrmacht soppianta le difese di Stalingrado e vi entra per porre
la parola fine all’assedio del territorio russo da parte di Hitler. Il 19 novembre 1942 ha inizio l’operazione Urano, controffensiva dei sovietici fondata, tra le altre cose, sull’addestramento di una ricchissima riserva di circa 59.000 civili. I tedeschi vengono accerchiati a tenaglia, subendo una sconfitta che cambierà il corso della storia.
È quindi chiaro che il termine riserva possa immediatamente far pensare a grandi episodi bellici, ma è possibile attribuire significati ben più semplici e quotidiani a questa parola: oggigiorno ci si spaventa (e forse non è esagerato) quando la spia della riserva dell’auto si accende!
Virando verso associazioni più dolci e dilettevoli, facciamo tappa alla terza partita del Gruppo E. Mondiali 2006, Italia-Repubblica Ceca. Diciassette minuti e Alessandro Nesta proprio non riesce a restare in campo e non ce la farà più per tutto il Mondiale: entra quindi Marco Materazzi, sua riserva, che ci porterà la quarta stella sulla maglia. Nella storia, come nello sport e nella vita di tutti i giorni, la riserva assume un’accezione di supporto e, in alcuni casi, come quando il cervello subisce danni neuropatologici, di assoluta necessità. Dalla letteratura emerge come le persone anziane reagiscano diversamente alle sfide dell’invecchiamento: alcune continuano a mostrarsi sveglie e intraprendenti, altre subiscono un forte declino nell’efficienza cognitiva. Individui con un’alta riserva cognitiva ossia dotati di un buon bagaglio culturale e una vita ricca di esperienze, hanno maggiori probabilità di sviluppare reti neurali compensative che consentono di ritardare o mitigare i sintomi delle demenze. È quindi utile, se non centrale, sapere cosa la scienza ha da dirci a riguardo, così da poter riempire
il nostro serbatoio di vita di una benzina che è a costo (quasi) 0, e vivere meglio e più lucidamente anche in tarda età.