La prima immagine che ci viene in mente a proposito della parola “equilibrio” è quella
di una bilancia su cui disporre pazientemente piccoli pesi su un piatto e sull’altro, in modo
da non far pendere il carico solo da un lato, con il rischio di farlo cadere e perderlo.
Anche i sistemi complessi mantengono la loro integrità se tutti i fattori che li
compongono sono tra loro in equilibrio. Si tratta naturalmente di un equilibrio dinamico, in
cui piccole variazioni vengono assorbite e piccole perdite vengono reintegrate senza che il
sistema nella sua globalità ne risenta in misura significativa.
Affascinanti sistemi complessi sono quelli naturali, detti anche “ecosistemi”. Nel corso
di un lunghissimo periodo di co-evoluzione, migliaia (spesso milioni!) di esseri viventi
diversissimi tra di loro si sono creati una propria “nicchia” in cui vivere, riprodursi e
prosperare, circondati da tantissime specie che condividono quella stessa nicchia.
Malgrado molti degli organismi e dei microrganismi presenti in un ecosistema vivano a
spese di altri, comportandosi per esempio da predatori o parassiti all’interno delle catene
alimentari, l’impatto di queste presenze sull’equilibrio generale dell’ecosistema è nullo.
Infatti, se singoli individui sono destinati a soccombere a causa dell’attività di predatori e
parassiti, in un ecosistema in equilibrio un insieme di potenziali “vittime” può avvalersi di
sistemi di difesa (comportamenti, difese meccaniche, risposte molecolari, sistema
immunitario) che limitano i danni e favoriscono la vitalità di una popolazione in salute.
Sorge quindi una domanda: come nascono e perché si diffondono le epidemie?
Abbiamo avuto negli ultimi anni esperienza diretta di terribili epidemie, dal Covid-19
(malattia causata nella specie umana dal virus SARS-CoV2) al complesso del
disseccamento rapido dell’ulivo (CoDiRO, causato dal batterio Xylella fastidiosa) che ha
distrutto milioni di alberi nella nostra regione. Evidentemente, in questi casi l’equilibrio
dell’ecosistema è saltato, e un agente di danno ha preso il sopravvento neutralizzando le
difese collettive della popolazione ospite. Secondo la definizione dell’OMS, le malattie
emergenti sono quelle che in una certa popolazione compaiono per la prima volta o che
erano già presenti ma sono in rapido aumento per numero di casi o diffusione geografica.
Secondo molti la globalizzazione, con i crescenti spostamenti di persone e merci, causa
nuove malattie emergenti, la risorgenza di vecchie malattie e la loro rapida diffusione.
Le attività umane che causano il cambiamento climatico e la perdita di biodiversità – in
un epoca per questo ribattezzata “antropocene” – sono le stesse che, attraverso i loro
impatti su ecosistemi ormai squilibrati, conducono al rischio di pandemia. I cambiamenti
nell’uso del territorio, l’espansione e l’intensificazione dell’agricoltura e del commercio, la
produzione e il consumo non sostenibili stanno sconvolgendo la natura e aumentando il
contatto tra popolazione umana, fauna selvatica e animali allevati, piante coltivate e
forestali, agenti patogeni e dannosi.
Riuscirà la specie umana, con la stessa dinamicità che ha portato ai cambiamenti
radicali descritti, riparare ai danni fatti ed utilizzare conoscienze scientifiche e nuove
tecnologie per invertire la rotta ripristinando gli equilibri drammaticamente perduti? E’
opinione di molti scienziati che il tempo rimasto per questa inversione sta ormai per
scadere.